Marijuana light a Venezia storia di una potenza navale da emulare

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Era obbligatorio coltivare canapa a Venezia

Ci piace alternare ai nostri articoli di attualità e sensibilizzazione della questione marijuana light a Venezia (in questo caso) ed in generale in Italia, a delle notizie storiche. Sembrerebbero quasi delle semplici curiosità, tuttavia, sono molto utili per divulgare la lunga storia di cui è protagonista la canapa. Una storia che può far capire quanto le potenzialità di questa pianta siano state fondamentali, per degli interi popoli.

Si dice sia indispensabile guardare al passato per cercare il proprio futuro, un po’ come abbiamo fatto noi di Bellastoria, quindi vediamo di ritornare indietro nel tempo all’epoca della repubblica di Venezia.

La marijuana light a Venezia, soffiata dal mare

Potrebbero dire questo dei marinai veneti se si ritrovassero nei giorni nostri. Certamente non conoscevano il termine marijuana light, ma sicuramente sapevano bene come strutturare le vele delle loro imbarcazioni. Indispensabile per la realizzazione di corde e di vele infatti, la canapa rappresentò, durante l’età della marineria velica, un prodotto strategico per l’intera industria navale.

Dall’alto Medioevo, Venezia si inserì prepotentemente, in un contesto di guerre sul mare e di conseguente potenziamento delle proprie flotte. Divenne quindi necessario affrontare e risolvere le problematiche legate alla convenienza ed alla continuità di fornitura di fibra di canapa. Il problema si risolse inizialmente incrementando le importazioni dal Bolognese, dalle Marche, ma anche dalle più lontane terre pontiche. Solo successivamente, si pensò di integrare il prodotto “estero” con una produzione interna.

Venezia, rappresentava un avamposto di Bisanzio nell’Adriatico settentrionale, un porto di notevole rilevanza per i traffici tra Oriente ed Occidente. Il suo continuo e progressivo sviluppo, soprattutto della propria flotta militare e mercantile, ebbe una importante accelerazione in seguito alla partecipazione alla Quarta Crociata (1202-1204). La sua continua rivalità con Genova, la portò prima all’ampliarsi nel Mediterraneo orientale, infine, all’avvio, durante il Quattrocento, delle “guerre turche”. Per far fronte a tutto questo, la città dovette creare ed armare una marina estremamente stabile. Flotte sempre più numerose si susseguirono in pochissimo tempo, quindi la creazione del grande arsenale di Castello ed alcune strutture minori nei principali centri dello “Stato da Mar”, testimonianze e simboli delle nuove esigenze.

Incremento indiretto dell’economia con la canapa

E’ palese come, un incremento, un boom di questo tipo, dovesse essere coadiuvato anche da un massiccio fabbisogno delle materie prime destinate al cantiere di Stato. Non era soltanto il legno ed il ferro, il materiale di cui avevano bisogno le flotte veneziane, si moltiplicava il fabbisogno di canapa, indispensabile alla fabbricazione di cavi e, unitamente al lino o al cotone, di vele. L’incremento della domanda pubblica si scontrò tuttavia con un’offerta assai rigida e caratterizzata dalla concentrazione geografica delle maggiori produzioni, limitate, almeno fino al XV secolo, alle terre emiliane ed a quelle pontiche, e dalla diffusa presenza di piccole piantagioni, generalmente poste ai margini dell’azienda agricola, per lo più atte a generare raccolti di scarsa qualità e quindi incapaci di soddisfare le esigenze degli arsenali.

Venezia reagì alla crescente tensione tra domanda ed offerta riservando la disponibilità delle fibre presenti sul territorio nazionale alla propria cantieristica. Creò una specie di monopolio, consolidò i flussi di importazione provenienti in primo luogo dai mercati emiliani e da quelli della città di Tana, emporio delle fibre russe ed ucraine, e, per aliquote minori, dalle Marche e dal Piemonte.

Rapporti commerciali per incrementare la marijuana light a Venezia

Mantenere dei solidi rapporti commerciali, si sa, non è cosa facile. Così anche a quei tempi, le crescenti tensioni dell’ultimo Trecento, il tasso di crescita continuo della domanda dovuto al fiorire dei traffici e dall’ampliarsi delle flotte in tutto il mondo occidentale, accelerò ulteriormente. Al contrario l’offerta fu rimaneggiata dal blocco a gli accessi al Mar Nero da parte dei Turchi nel Mediterraneo orientale. Quando, nel 1461, cadde Trebisonda, la canapa russa non era più lavorata da tempo nei laboratori dell’Arsenale.

Oltre all’evoluzione politica appena tracciata, va evidenziato l’aumento del potere contrattuale dei produttori bolognesi, ormai beneficiari di un vero e proprio monopolio (come abbiamo detto) che, se duraturo, avrebbe potuto regalare all’Emilia un notevole peso economico, forse, anche politico nell’Italia Nord-orientale.

La partita, tuttavia, non era ancora chiusa, con la conquista veneziana di ampli spazi nell’entroterra veneto durante il primo Quattrocento, vennero modificati, oltre ai confini italiani, anche le possibilità di scelta della Serenissima che, venne a disporre di territori sufficientemente vasti da poter ospitare ampie colture di canapa.

La canapa un’arma nelle mani degli Emiliani

La classe dirigente veneta iniziò a considerare i Bolognesi non solo monopolisti di una merce essenziale, ma anche detentori di un’arma di ricatto  politico ed economico, la cui potenza doveva essere,  effettivamente smorzata. Maturò così, sotto la duplice pressione dell’avanzata turca e della lotta per il dominio dell’Italia Settentrionale. La decisione di sfruttare le terre padane per modificare a proprio vantaggio una situazione altrimenti bloccata in un’insidiosa dipendenza commerciale.

Una volta sancito il ruolo fondamentale dello Stato nella creazione e gestione delle colture venete, vennero identificate le terre più adatte all’esperimento, definiti con precisione le estensioni coinvolte, acquisite le competenze tecniche necessarie ad una coltivazione ancora poco conosciuta, create nuove infrastrutture. Si predispose infine un’organizzazione di direzione, indirizzo e controllo capace di assicurare l’effettiva applicazione delle procedure di lavorazione ed il reale conseguimento degli obiettivi.

Le nuove regole sulla canapa a Venezia

In merito a quanto appena scritto, si stabilirono le prime regole sulla “canapicoltura nazionale”. Innanzitutto, circa la sua estensione, si sarebbe sviluppata tra Montagnana, Este e Cologna.

Le piantagioni, poi, si sarebbero avvalse dell’intero “Palù di Prova”, un’area di proprietà della comunità di Montagnana, suddivisa in numerosi lotti ed affittata ai coloni locali. A questi si sarebbero poi aggiunti altri terreni della provincia, ottenuti imponendo a tutti i conduttori di quelle terre di coltivare a canapa un campo per ogni paio di buoi posseduti.“Item volemo ed ordenemo”, diceva la “parte” istitutiva delle piantagioni venete approvata il 25 ottobre 1455, “per dare principio al semenare di detti canevi che i cittadini di Montagnana e suoi borghi […] per nostra decisione debbano seminare per cadaun paio di buoi campi doi di canapa” [17]. Il risultato fu di disporre di circa 800 “campi” vincolati.

E’ quanto meno paradossale, se non addirittura grottesco che, centinaia di anni fa, quando si conosceva davvero poco della pianta di canapa, questa venisse usata in moltissime applicazioni, addirittura c’era una legge che ne imponeva la sua coltivazione.

Oggi invece, che conosciamo tanto di più sulla marijuana light e sulla canapa in generale, malgrado le sue insidacabili caratteristiche e nonostante una legge (con molte lacune, in realtà) che ne regolarizza coltivazione e vendita; si stia facendo di tutto per eliminare questo tipo di attività.

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